Un Curioso Passatempo

Un buon romanzo è una gran fatica. Gli scrittori di oggi per fortuna si trattano bene e curano di non stancarsi. Io credo che in realtà questa non sia se non un’altra manifestazione di ambientalismo: perché gli scrittori si figurano già che i loro libri, dopo una sfogliatina, saranno perfetti succedanei della legna da camino. In questo modo si evita di recidere altri poveri alberi solo per farne ceppi da falò, e si ottiene due per il prezzo di uno: il consumatore risparmia, l’ambiente gioisce.

Ma chi volesse sottrarre i suoi libri alla fine degli Annali di Volusio dovrebbe, come in auto si guarda ai due bordi della strada per non deragliare, stare attento a due soli elementi dell’opera. Che sono il sentimento e la costruzione. Il sentimento è il tono che attraversa le pagine, che ravviva ed unifica una scena ed un libro; la costruzione è lo stile come forma e contenuto: sceglie cosa rappresentare, come rappresentarlo. Il sentimento è l’ispirazione e il motivo di un’opera, senz’esso non s’inizia, non si prosegue e non si conclude; è insomma il progetto e la visione dell’architetto in cantiere. Ma la costruzione è lo svolgimento e la realizzazione: strumenti, impalchi, le travi e le viti che servono ad erigere un palazzo.

Il sentimento è sintentico, la costruzione è analitica. La costruzione frammenta, seziona, smorza o restringe le briglie, rallenta o ritira le sarte: ma l’impeto viene dal sentimento, che è come vento alla navicella dello scrittore.
Chi manca di uno dei due è irrimediabilmente cattivo scrittore. Chi manca di entrambi non è neppure un pessimo scrittore, ma un imbrattacarte scapestrato, ed ottimo candidato ai premi letterari.

I cattivi scrittori si dividono dunque in frigidi ed incapaci. Gli incapaci sono i languidi, i piagnucoloni, i sentimentali senz’arte; i frigidi sono i sofisti, i giocolieri, gli artieri della parola. Tra i due, gli incapaci vanno scartati senza pietà; i frigidi meritano, se non la stima, il nostro stupore. Nessuno dei due si può perdonare: se chi scrive male farebbe meglio ad abbandonare la penna e darsi allo studio di lucciole ed orchidee; per parte propria chi sa scrivere ma non scrive sinceramente di quel che sente è un truffatore dell’arte, e per di più pigro, perché poco gli basterebbe a donarci un’opera buona: per quanto abile nei funambolismi retorici, per quanto fumo ci getti in volto, resta pur sempre un panurgo che non vuole scrivere di quello che sente, o che non ha mai voluto imparare a sentire. Anche sentire è un’arte, e anche a sentire si impara. Di entrambi l’artista si serve per la sua opera: dall’incapace trae motivi d’ispirazione e stimoli al cuore, dal frigido prende la grazia e la lima.

La scrittura è insomma un passatempo assai curioso: imprevedibile ed improvviso, ora istantaneo e facilissimo, ora pervicace e pedante. Ma è sempre meglio che alzare lo sguardo in un vagone della metro, o peggio ancora fare due chiacchiere con un passeggero.