“Per speculum et in aenigmate”
La Verità è un mistero che interroga l’Uomo dal principio della Storia. È, in effetti, il mistero, per definizione. Simulacro di ogni speranza ed orizzonte, tomba o scintilla di ogni novità. Dispone di essa chi dispone del metodo per arrivarvi. E questo tralasciando l’an della questione, il problema ontologico:
La verità esiste?
Risposta (de profundis): non ci è dato saperlo (forse). Argomentiamo. Tre sono le principali prospettive possibili: una oggettivistica assoluta, una oggettivistica relativa, una soggettivistica.
La prima (è questa la posizione platonica, aristotelica e tomista) ha per presupposto il sussistere di un ordine interno al mondo, un’identità assoluta tra pensato ed esistente, una struttura razionale condivisa, con leggi uniche per il soggetto e per l’oggetto. E queste leggi devono essere state scritte da qualcuno: quel qualcuno viene chiamato Dio. Come Dio ha fatto le cose, così l’uomo le pensa, e così esse sono.
La seconda (coincidente in parte con la lezione hegeliana), pur ammettendo l’esistenza della verità, la riconduce ad un processo gnoseologico interno alla coscienza. Dal mondo, inteso in primis come spazio fisico, si passa alla realtà, che è la dimensione umana dell’esistente: ciò che è esiste solo in quanto pensato o pensabile, in quanto appreso nell’intelletto, e dunque dotato di un significato. La verità c’è, ma è propria della ragione: l’oggettività si risolve nella soggettività collettiva. L’uomo crea le cose, pensandole.
La terza (che possiamo anche definire relativismo assoluto) muove dall’assunto che la verità o non esiste o esiste solo fuori di noi ed è per definizione irraggiungibile (noumeno). Non vi è una razionalità comunicabile, ma un mescolarsi e scontrarsi perpetuo di prospettive diverse, ognuna dotata della medesima dignità, in quanto ugualmente infondata. La verità è un fatto emotivo, un convincersi autolegittimante. Il vero-per-noi (fondamento della ragione intersoggettiva) diviene vero-per-te, per-lei, per-lui. L’umanità è una somma di monomi impazziti, con variabili sempre diverse e irriducibili tra loro. Io creo le cose, pensandole.
Nessuna di queste tre opzioni è dimostrabile, o teoreticamente corretta: sono indecidibili. Per scegliere l’una o l’altra è necessario quel passo comune ad ogni percorso gnoseologico, quel salto nel vuoto che sta ad ogni alba: un gesto di fede, che sia laica o religiosa. Che non è un tuffarsi nel caso, bensì uno scegliere la risposta, per i dati e le esperienze a nostra disposizione, più probabile, pur consapevoli della sua imperfezione logica. Come un buon investigatore che, raccolti tutti gli indizi, azzardi l’ipotesi di un colpevole. Un indovinare ragionato ed intuitivo.
È una scelta di metodo, di campo, anche di posizione etica. Non ci sono né risposte sbagliate, né risposte giuste. Solo paradossi specchiati nell’eternità.
Tancredi Bendicenti