E lo Chiamano Pace

 

…Nella vita degli esseri umani sono solo due o tre le storie che con crudeltà si ripetono come se non fossero mai successe

Willa Cather offre uno spunto brillante per iniziare a trattare il tema che ci siamo proposti.

Da ormai qualche settimana le nostre cronache, attente e puntuali, ci informano sulle nuove tensioni che si registrano nel territorio palestinese. La soluzione dei due Stati, uno ebraico ed uno arabo, nelle varie formule politiche che sono state proposte negli anni, non ha mai portato a frutti duraturi, né alla tanto agognata pace.

Sembra quasi, agli occhi del disilluso cittadino cosmopolita del ventunesimo secolo, che uno sfortunato incrocio di storia, religione, politica, colonialismo, stragi e cultura, abbia condannato quel territorio ad una guerra ab aeterno.

Intendiamo, tuttavia, utilizzare il complesso, divisivo e doloroso argomento come spunto per trattare questioni preminenti di Diritto Internazionale, cercando, per quel che possiamo, di innalzare il suddetto conflitto a paradigma. Paradigma per riflettere sulla guerra come – sbagliato, possibile, doveroso, giusto? – mezzo di risoluzione delle controversie.

INQUADRAMENTO DEL QUESITO

Sorge, quindi, la domanda giuridica: può la guerra essere uno strumento di risoluzione delle controversie?

Per rispondere ad un interrogativo, soprattutto se complesso come questo, è d’uopo una attenta lettura del quaesitum.

Il verbo potere, da noi utilizzato, deve essere collocato su due piani.

Il potere come giuridicamente possibile e il potere come empiricamente possibile.

La possibilità empirica, infatti, prescinde dagli imperativi del diritto.

Come risolvere questa discrasia?

Probabilmente evidenziando che qualcosa di non possibile giuridicamente, ma che può benissimo avvenire nel mondo dei fatti, trova una correzione nell’effetto-sanzione della norma. È tramite la sanzione, in definitiva, che la impossibilità giuridica si impone sul mondo empirico.

LA SANZIONE INTERNAZIONALE E LA GUERRA

Il punto problematico del Diritto Internazionale è, però, l’assenza di un efficace apparato sanzionatorio, correttivo imprescindibile della discrasia sopra evidenziata.

Partiamo da un dato normativo: l’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite, per il quale i Membri devono astenersi dall’uso della forza.

Essi, quindi, giuridicamente non possono ricorrere alla guerra.

Cosa accade se, però, uno di essi decide di non rispettare questo precetto?

Naturalmente lo Stato attaccato ha una causa di giustificazione internazionale e può, proporzionalmente, rispondere con la forza.

Ma gli altri? E l’ONU stessa?

Gli artt. 39 ss. della Carta, come ben sa chi conosce il Diritto Internazionale, si occupano delle misure repressive.

Si veda, a tal proposito, l’art 42, che consente mezzi implicanti la forza, a certe condizioni.

Il punto è che il veto sospensivo dei Membri Permanenti e la presenza all’interno del Consiglio di Sicurezza, in tale veste, di Russia e Cina, portano a rendere inapplicabile una sanzione del genere per conflitti di grande portata, come quello Russo-Ucraino o, appunto, la questione israelo-palestinese.

Di fatto, ciò si traduce nella inadeguatezza dell’ONU e dell’apparato sanzionatorio del Diritto Internazionale ad affrontare le Guerre e a risolvere i conflitti.

Ciò porta a rendere manifesta la differenza col Diritto Interno e a definire quello internazionale come diritto anarchico. È la forza a guidarlo. Possiamo darci tutte le norme che vogliamo, ma se Putin invade l’Ucraina, l’ordinamento internazionale non riesce ad imporsi, come notiamo.

Quindi sembra che tutto deponga a favore della Guerra come mezzo di risoluzione delle controversie. Sia perché la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, anche se come extrema ratio, prevede l’uso della forza, sia perché, al di là delle norme, nella prassi vediamo che è ancora il più forte che vince, anche se è nel torto.

Quindi, per quanto giuridicamente non possa esserlo, empiricamente molti dati sembrano dire il contrario. Rispondiamo affermativamente al nostro interrogativo?

LA GUERRA SERVE?

Tornando in Palestina, oggi, l’ONU difende il diritto di autodifesa di Israele dagli attacchi di Hamas, associazione terroristica legata ai Fratelli Musulmani che controlla la problematica Striscia di Gaza.

D’altra parte, però, la Cina e la Russia non hanno immediatamente appoggiato tale posizione, questo portandoci a sospettare un loro interesse all’escalation in Medio Oriente.

Putin, soprattutto, punta a dimostrare come la gestione occidentale della questione israelo-palestinese sia stata inadeguata, ciò a corroborare la tesi dell’esigenza di un nuovo assetto globale a trazione Russa.

Sapere come evolveranno i fatti, purtroppo o per fortuna, è dono che non abbiamo.

Nel dubbio sul futuro, resta una domanda sul sempre.

La Guerra serve? È, in certi casi, l’unico strumento possibile?

Eraclito, con la dottrina dei contrari, sosteneva che non può esistere la pace senza la guerra. Che:

Polemos è padre di tutte le cose, di tutti i re, e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.

I Romani predicavano il bellum iustum, per civilizzare i barbari.

I Futuristi parlavano della Guerra come di igiene del mondo.

La Chiesa Cattolica, per lungo tempo, si è fatta promotrice di Guerre di Religione per combattere gli infedeli e liberare i territori – evidentemente sfortunati – del Santo Sepolcro.

D’altra parte, ai primi si potrebbe opporre che ubi solitudinem faciunt, pacem appelant.

I secondi, come ben sappiamo, si collocano in un momento culturale sfociato in un terribile e disumano conflitto mondiale.

L’ultima, in nome di un Dio che predicava l’amore per il prossimo, non ha rispettato un suo stesso comandamento: non uccidere.

Arriviamo, infine, a Kant e alla sua opera Per la pace perpetua, base imprescindibile del Diritto Internazionale.

Il filosofo immagina che sia possibile costruire una pratica politica repubblicana, interna, internazionale e cosmopolitica, che porti alla pace.

Naturalmente, quella di Kant non è una ricetta giuridica quanto un’aspirazione o proposta politica.

Resta, però, che l’idea di un mondo in cui il conflitto sia risolto pacificamente ha animato le sue riflessioni e porta noi, oggi, a domandarci se questa possibilità sia concretamente esperibile.

CONCLUSIONI (APERTE)

Il quadro che abbiamo dipinto, lontano dal dare risposte, vuole stimolare la mente attenta del nostro lettore su un tema sensibile che lo colpisce, come uomo e cittadino del mondo, ogni giorno.

Nel dubbio sulla guerra, non ci resta che pensare.