Killers of the Flower Moon: la Nazione Americana tra Sangue e Capitalismo

Sin dalla sua uscita avvenuta lo scorso 29 Ottobre, Killers of the Flower Moon ha fatto parlare di sé. 

Presentato fuori concorso al Festival di Cannes e sin da subito ricevuto con grande calore e ammirazione dalla critica, l’ultima opera di Scorsese dimostra come nell’odierno panorama cinematografico dominato (in maniera ormai spropositata) dai superhero movies targati Marvel, un film d’autore possa affermarsi e ottenere un importante successo. 

Facciamo un passo indietro.

È dagli anni Settanta che Scorsese si occupa di raccontare la Nazione Americana, le sue luci e soprattutto le sue ombre, in un lungo viaggio che va dalle strade di una New York ancora sconvolta dalla Guerra del Vietnam (Taxi Driver), passando per i fenomeni sempre più presenti ed oppressivi del gangsterismo (Mean Streets) e occupandosi di narrare la storia di alcuni “bravi ragazzi” (GoodFellas), fino a giungere al racconto degli “eroi” (o meglio degli antieroi) statunitensi che col sangue ed il sacrificio, hanno forgiato la propria Patria. Dopo essere partito dai Five Points (Gangs of New York), dopo aver attraversato la California di Howard Hughes (The Aviator) e dopo essere passato dalla New York ormai profondamente capitalista di Jordan Belfort (The Wolf of Wall Street), il regista italo-americano ci offre questa volta, col suo ultimo prodotto cinematografico, un nuovo spaccato dell’America, trasportandoci in Oklahoma, a Fairfax, una località della frontiera americana (sebbene il fascino del Far West sia ormai in declino), in cui la tribù locale degli Osage, negli anni Venti, è divenuta fortemente ricca e benestante grazie ai giacimenti petroliferi di cui la contea è piena. Eppure, come si può immaginare, il petrolio porta soltanto morte, distruzione e denaro insanguinato. Sebbene infatti gli indiani con fermezza morale e solidarietà cerchino di opporsi alle prepotenze, l’uomo bianco sembra sempre essere un passo avanti a loro. Di chi si parla? Del magnate William King Hale e del nipote Ernest Burkhart, che attraverso l’intrigo e il complotto vogliono ottenere il possesso di tutti i giacimenti petroliferi, costi quel che costi. 

Ciò che Scorsese ci dice, e qui ritorna il tema della Storia Americana, è che sebbene nel mondo esistano fenomeni positivi e non, ed in questo caso si parla del capitalismo e dell’espansione urbanistica degli anni Venti, molto spesso accade che tale processo si sia generato da eventi oscuri e terribili. Basti pensare alla stessa colonizzazione americana che è vero, da un lato ha portato alla nascita di una grande Nazione, ma dall’altro ha spezzato numerose vite innocenti, dando vita a svariati episodi di brutalità perpetrati ai danni dei nativi americani (l’esempio più emblematico è forse il massacro di Sand Creek).

Nel film troneggia la figura di Hale (un eccelso De Niro) che uccide con una mano, e con l’altra finge di consolare i parenti degli uomini di cui decide il mortale destino. Il suo obiettivo è quello di fondare un impero del petrolio schiacciando i pellerossa ritenuti “inferiori” e facendo così espandere di riflesso l’economia dell’Impero Americano. Il nipote Ernest (un altrettanto eccezionale DiCaprio) pur sposando Mollie, una delle donne Osage più in vista della città, non esita ad aiutare lo zio a compiere i misfatti più efferati sebbene, ad un certo punto, Scorsese lo trasformi nell’antieroe di cui la società ha bisogno, che si pente (o forse non del tutto) dei suoi errori, e che riesce a far condannare lo zio dalla neonata FBI e a distruggerne l’immagine pubblica. L’antieroe ha così rovesciato il malvagio oppressore e l’ordine può essere dunque ristabilito. 

In conclusione, con Killers of the Flower Moon Scorsese offre allo spettatore un kolossal mastodontico e ben recitato, ricco di contenuto e di critica verso un sistema corrotto, dotato di personaggi carismatici (il duo De Niro – DiCaprio che domina lo schermo assieme ad una affascinante Lily Gladstone) e di un ritmo incalzante che intrattiene lo spettatore dall’inizio alla fine. La cura per i costumi, per le scenografie e per la musica, che richiama i motivi tribali indiani, è di forte impatto. 

Killers of the Flower Moon è probabilmente il capolavoro di cui avevamo bisogno da tantissimo tempo e che dimostra alla generazione cinematografica di oggi, come un grande personaggio come Martin Scorsese non abbia mai perso il proprio tatto da regista-autore, riuscendo a mantenersi originale e coerente nonostante i cambiamenti del gusto dell’odierno pubblico (tendente a favorire i già citati film Marvel) e manifestando ancora una volta la sua innata bravura nel racconto della Storia della Nazione Americana.

Davide Amenta