Ringraziamo il Chiarissimo Professor Roberto D’Alimonte, docente presso la “LUISS Guido Carli” di Roma, scienziato della politica tra i più importanti ed accademicamente rilevanti nel panorama tanto italiano quanto internazionale, per avere accettato l’invito di “Consensus Rivista”.
È un onore ed un privilegio inaugurare il nostro ciclo di interviste con un ospite del Suo calibro.
Ragioneremo, oggi, su di un tema particolarmente sensibile. Un tema che sentiamo dai telegiornali fino ai bar, dai Palazzi fino alle aule – e ai corridoi – universitari: il Premierato.
Preliminarmente, però, Professore, Lei ritiene che, viste le varie proposte che negli anni sono state avanzate nel nostro Paese, una Riforma Costituzionale ovvero Istituzionale, dato che l’impianto è quello del quarantotto, sia necessaria? In caso affermativo, ritiene più utile una Riforma che tocchi la Costituzione o una che la lasci inalterata?
La Riforma Costituzionale è necessaria dal mio punto di vista su un punto: il superamento del bicameralismo perfetto.
Siamo l’unico Paese Europeo che conserva un sistema in cui due Camere hanno gli stessi poteri. E questo non va bene.
È questa la Riforma Costituzionale che andrebbe fatta e che semplificherebbe non soltanto il processo legislativo, ma anche il procedimento elettorale.
Oltretutto, sarebbe anche l’occasione di fare della seconda Camera quella Camera delle Regioni che dovrebbe servire per migliorare i rapporti tra lo Stato centrale e queste ultime.
Questa è la Riforma da fare, ma nessuno ne parla.
Nei progetti di riforma del Centro-Destra del Senato non se ne parla.
Invece, per quanto riguarda il Premierato, secondo me – e l’ho scritto, ma lo ripeto – per dare più voce agli elettori e favorire una maggiore stabilità dei governi, non c’è bisogno di una Riforma Istituzionale, si può ragionare sulla Legge Elettorale.
Professore, a proposito della Riforma sul superamento del bicameralismo perfetto, alla quale Lei è particolarmente legato, ritiene che un Senato con le stesse funzioni della Camera sia superfluo, perché determina un rallentamento del processo decisionale?
Crede che, con un numero di Parlamentari ridotto, questa esigenza si faccia ancora più impellente?
Insieme al bicameralismo perfetto, e questo è un punto giusto, vedo con favore l’aumento del numero di Deputati. Cioè, se noi aboliamo il Senato come seconda Camera rappresentativa, è giusto che il numero dei Deputati sia portato da 400 a 500. Questo perché semplificherebbe il lavoro nelle Commissioni, per esempio. Quindi, questa sarebbe un’altra Riforma Costituzionale da abbinare a quella del superamento del bicameralismo perfetto e della trasformazione del Senato.
Io, in realtà, sarei anche favorevole ad un monocameralismo, in cui, però, il rapporto con le Regioni potrebbe essere garantito da una costituzionalizzazione della Conferenza Stato-Regioni.
Però, questa strada lasciamola perdere ora.
Per quanto riguarda, invece, il Premierato, il Centro-Destra, durante la campagna elettorale, ma anche prima, proponeva una Riforma in senso presidenziale, quindi l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Lei crede che essere passati al Premierato sia un tradimento nei confronti degli elettori o che, piuttosto, sia una naturale evoluzione, determinata dall’interfacciarsi della Coalizione vincitrice con le reali problematiche legate ad un cambiamento strutturale così incisivo?
È stato un atto di realismo. Teniamo conto di un fatto: la maggior parte degli italiani non ha delle idee precise su queste cose. Sono cose complicate. Parlare di Presidenzialismo o Premierato. In generale gli elettori hanno un’idea vaga di cosa siano queste cose. Questo non è vero per l’élite.
E noi sappiamo che i partiti della nostra Destra, MSI prima e AN poi, hanno sempre avuto questo obiettivo della trasformazione della Forma di Governo in senso presidenzialistico o semipresidenziale. Però adesso credo che la Meloni abbia fatto un passo di maggior realismo, perché la presenza di un Presidente molto popolare, come Mattarella, ha sconsigliato di procedere su una strada che avrebbe stravolto il nostro modello di Governo e contemporaneamente ridotto drasticamente i poteri, anche se non immediatamente, del Presidente.
E, poi, sul presidenzialismo avrebbe trovato una opposizione ancora maggiore.
Data, infatti, la natura compromissoria del nostro parlamentarismo, che certamente fu evidente, tralasciando la “conventio ad excludendum”, nella Prima Repubblica, e successivamente, forse in misura anche maggiore, nella Seconda, Lei crede che una figura di garanzia come il Presidente della Repubblica sia necessaria?
Sì, è necessaria. Il Presidente della Repubblica – lo abbiamo visto soprattutto negli ultimi trent’anni – ha avuto una funzione di equilibrio. Perciò, io sono favorevole che rimanga.
Per questo dico che è meglio rafforzare il Governo con una Riforma Elettorale e non cambiando assetti tra Parlamento, Governo e Presidente.
Entriamo ora nel merito della Riforma del Premierato. Partirei da una questione, per certi tratti marginale, non perché non rivesta un ruolo importante, ma perché risolvibile in poche battute. La Riforma Casellati prevede l’abolizione dei Senatori a vita. Lei crede sia un’innovazione giusta o, quantomeno, necessaria?
Io penso che sia una Riforma opportuna. Anche perché, con un numero limitato di Senatori, corriamo il rischio, già visto nel passato, che i Senatori a vita si trovino nella condizione di dover decidere della sopravvivenza di un Governo. E questo non è un fatto positivo.
Passando ad altre questioni, in alcuni suoi articoli lei parla di “stranezze italiche”, a proposito della legge elettorale e della Riforma del Premierato. Facendo un parallelo con le Riforme proposte in passato e l’odierna, quest’ultima prevede un premio di maggioranza del 55% al Partito o alla Coalizione che vinca. Ma cosa significa vincitore è difficile da comprendere, perché è raro che si possa raggiungere una soglia che si avvicini al 55%. Perciò si rischia un premio di maggioranza sproporzionato.
Dunque, Lei parlava di un ballottaggio, come accade nei Comuni.
Ma la Consulta ha dichiarato che il ballottaggio non è incostituzionale nei Comuni, ma lo è per l’elezione del Parlamento.
Sì, la stranezza è che in questo progetto di Riforma Costituzionale entra un pezzo della Legge Elettorale. L’altro pezzo della Legge Elettorale, che è molto importante, resterebbe fuori dalla Costituzione. Come viene assegnato il premio? Come viene eletto il Premier? Questo manca nel progetto, ma è essenziale.
Se assegni il 55% ci devi dire anche come pensi di farlo.
Io penso che la cosa migliore sia adottare un sistema elettorale proporzionale, perché è l’unico ragionevolmente compatibile col premio. Mentre un sistema che comprende collegi uninominali maggioritari sarebbe più difficile da far convivere con un premio di maggioranza.
Quindi, la Legge Elettorale dovrebbe prevedere un sistema proporzionale con premio di maggioranza.
A questo punto, però, non è finita la storia, perché la domanda diventa: ci sarà una soglia minima di voti che bisognerà raggiungere per ottenere il premio? Dovrebbe esserci. La Consulta ha stabilito nella sua sentenza del 2014 che non si può dare un premio di maggioranza senza fissare una soglia, ma non ha detto quale. È ragionevole supporre che sia del 40%.
Ora, se ci sarà una soglia, vi dovrà essere anche una norma di risulta.
Se nessuno arriva al 40% che si fa?
Ci vuole il ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto più voti al primo turno.
Per questo dico che, indicando in Costituzione che il vincitore debba avere il 55% dei seggi, implicitamente il progetto di Riforma ha anche predeterminato che ci sia il ballottaggio.
La vera questione è se il ballottaggio scatterà al 40% o al 50%.
Perché, se scatta al 50%, l’elettore è posto davanti ad una scelta netta tra due candidati e ha una precisa percezione della posta in gioco che è la scelta del Premier.
Il Centro-Destra, però, non ama il ballottaggio perché pensa che avvantaggi gli avversari. Per questo ritengo che, alla fine, opterà per la soglia del 40% in modo da renderlo meno probabile. Va da sé, infatti, che è più facile che una Coalizione superi al primo turno il 40% invece del 50%. E così come stanno le cose oggi sembra che questo sia più alla portata della coalizione di Centro-Destra che di quella di Centro-Sinistra.
Le pongo allora un’altra domanda, riguardante il problema che aveva evidenziato la Corte Costituzionale con la sentenza del 2014. Perché, in un ipotetico caso di specie in cui nessuna forza politica arrivasse al 41%, assumendo come premessa l’introduzione di una soglia al 40%, ed in cui le due coalizioni più votate prendessero circa il 20%, il ballottaggio si terrebbe tra loro e, conseguentemente, si assegnerebbe un premio di maggioranza particolarmente sproporzionato rispetto al risultato reale ottenuto al primo turno.
Allora, la Corte ha sbagliato. Perché in realtà essa ha costruito un ragionamento che non tiene conto del fatto che in democrazia, e quindi nelle elezioni, oltre alle prime preferenze ci sono anche le seconde preferenze e che funzionano meglio i sistemi in cui gli elettori sono chiamati ad esprimere non solo la preferenza assoluta, ma anche quella di compromesso.
La Corte, invece, ha del tutto sottovalutato l’importanza delle seconde preferenze, per cui dice che un candidato eletto al secondo turno col 51% o 60%, ma che al primo avesse ottenuto il 30%, è illegittimo. Ma come fa la Corte a dire questo?
Perché la Corte considera le seconde preferenze il risultato di una artificiosa restrizione del campo di scelta degli elettori che al secondo turno possono optare per l’uno o l’altro di due candidati.
Quindi ci sono voti di serie A e voti di serie B?
Esattamente, sarebbe come se ci fossero voti di serie A e di serie B. Non si tiene conto che, al primo turno, ci sono degli elettori che hanno votato il candidato in assoluto più preferito, ma che al secondo, comunque, esprimono una scelta per un candidato che piace meno ma che piace più del rivale.
Come accade in sistemi fortemente bipolari, come quello statunitense, dunque. Immaginiamo che ci siano altri partiti oltre a Democratici e Repubblicani, molti loro elettori potrebbero non votarli come prima scelta e, in seconda battuta, preferirli.
Esatto, è una mancanza di conoscenza della teoria democratica. La Sentenza della Corte è sbagliata nelle motivazioni.
Perché per giustificarsi usa il termine restrizione artificiale delle scelte di voto.
Quindi, giudica che chi ha preso il 60% lo ha fatto perché il campo era ristretto, ma non considera che le seconde preferenze, in democrazia, sono le più importanti, perché sono di compromesso, e la democrazia è un sistema che funziona meglio quando prevalgono le scelte di compromesso.
Detto questo, la Corte non ha bocciato del tutto il ballottaggio. Facendo riferimento al fatto che il premio era assegnato solo alle Liste e non anche alle Coalizioni e alla assenza della possibilità di accorpamenti tra primo e secondo turno, ha lasciato la porta aperta a una ipotesi di ballottaggio che incorpori questi elementi che non erano presenti nell’Italicum.
Aggiungo, inoltre, che questa Sentenza aveva una valenza politica. Erano i tempi in cui con il ballottaggio i candidati sindaco del M5S a Roma e a Torino avevano vinto le elezioni e molti erano convinto che il ballottaggio avrebbe favorito il M5S anche a livello nazionale. I sondaggi davano Di Maio davanti a Renzi.
È noto che la Corte spesso prende decisioni condizionate da valutazioni legate al contesto politico.
Come con i Referendum Segni sul sistema elettorale. Prima bocciati, poi ammessi.
Anche perché, come diceva Calamandrei, la legge è uno degli argomenti del giudice, ma non certamente il solo.
Tra l’altro, nel caso della Sentenza del 2017, la Corte aveva una strada maestra per bocciare la legge.
Perché, dopo il fallimento del referendum nel dicembre 2016, alla Camera si sarebbe votato con un sistema che poteva produrre un risultato iper-maggioritario, l’Italicum 2.0, mentre al Senato, il c.d. Consultellum, era un sistema proporzionale.
La Corte avrebbe potuto utilizzare il criterio della irrazionalità per bocciare la legge. Invece hanno voluto legiferare sul ballottaggio, pur non conoscendolo bene.
Altro aspetto sul quale vorremmo concentrarci è la formula “simul stabunt, simul cadent”, che esiste a livello di Comuni e di Regioni, ma che non è prevista nel progetto del Governo.
Nella Riforma, infatti, la caduta del Governo non determina in automatico anche lo scioglimento delle Camere, ma lascia la possibilità di cercare nella stessa maggioranza un altro esponente.
Esatto, i riformatori hanno considerato il modello dei Comuni e delle Regioni troppo rigido e troppo lesivo delle prerogative del Parlamento. Si sono inventati questa formula, quindi.
Questo crea una situazione paradossale. Da una parte, se è elezione diretta gli elettori si aspettano che a governare sia chi hanno scelto, ma potrebbero ritrovarsi una persona diversa.
Tradisce il suo stesso motivo d’essere?
In un certo senso sì, perché voti per la persona, non per la Coalizione.
L’altra incongruenza è che il secondo Premier sarebbe più tutelato del Presidente eletto perché, se quest’ultimo viene sfiduciato, il Parlamento non va a casa. Mentre non è così se fosse sfiduciato il secondo. In questo modo il Premier non eletto avrebbe più potere nei confronti del Parlamento di quello eletto.
Quindi ancora una volta tradire lo spirito della riforma?
Sì. Ci sono molte contraddizioni in quel progetto.
Questo, poi, suggerisce anche delle questioni rilevanti sul vincolo di mandato. Perché il secondo Premier dovrebbe essere selezionato all’interno della medesima coalizione. Limiterebbe quindi la libertà di scelta dei parlamentari.
È così.
Molte volte vi è stata una personalizzazione del Referendum che ha portato gli elettori a fare una scelta orientata. Pensa che la Meloni farà così?
No, non penso che la Meloni farà questo errore. Però, in ogni caso il voto avrà un effetto politico perché dipenderà non solo dal contenuto della riforma ma dalla popolarità del Premier e del Governo nel momento in cui si andrà a votare.
Per quanto riguarda il Premierato, abbiamo esaurito i tratti salienti.
Lei si augura un cambiamento nel nostro Paese?
Mi auguro che si superi il bicameralismo perfetto e, su questo, Governo e opposizioni potrebbero trovare un accordo. Certo, i Senatori non sarebbero felici, ma si possono incrementare i seggi alla Camera, come abbiamo detto. Si potrebbe ritoccare l’attuale legge elettorale, per cui invece che 1/3 ci sia il 50% di seggi uninominali. Ma, se vogliamo migliorare il rapporto tra cittadini e politica, la formula che preferisco è: proporzionale con premio di maggioranza e ballottaggio al 50%.
Un’ultima domanda: Lei pensa che sia necessario anche riformare il sistema dei partiti?
Questo è un grande progetto, ma di difficile attuazione.
In realtà bisognerebbe cominciare a riformare gli elettori.