L’Intelligenza Artificiale e la Necessità di una Puntuale Regolamentazione Giuridica

Da sempre guardato con particolare ostilità, specie da dottrina più tradizionalista e conservatrice, il tema dell’intelligenza artificiale è quanto mai attuale. Poco in realtà si è sottolineata l’occorrenza di “armarsi” con la stesura di opportuni codici e norme specifiche per supplire alle lacune dell’ordinamento.

Lungimiranti, a tal proposito, le affermazioni di Stephen Hawking il quale affermò: “Nell’arco dei prossimi cento anni, l’intelligenza dei computer supererà quella degli esseri umani.[1]

Le preoccupazioni inerenti al tema dell’intelligenza artificiale e la sua applicazione al diritto permeano anche gli organi comunitari. Si pensi ai Considerando della Risoluzione del Parlamento europeo sulla robotica del 16 febbraio 2017 in cui si afferma: “È possibile che a lungo termine l’intelligenza artificiale superi la capacità intellettuale umana.”

Occorre, quindi, munirsi degli adeguati strumenti di tutela per l’avvenire, intervenendo quasi obbligatoriamente sul diritto e in particolare ampliando quella che è la disciplina penale, affinché non si incominci ad accumulare fin da subito il ritardo di fronte a un incontrovertibile evoluzione tecnologica e conseguentemente del diritto stesso.

L’intelligenza artificiale rappresenta il conducente degli unmanned vehicles[2]. Essa deve come tale rispettare un codice di comportamento, perché come ogni altro mezzo ideato dall’uomo ha necessità di essere regolato affinché rimanga al suo servizio e non ne sfugga al controllo. Gli studiosi devono adoperarsi fin da subito affinché non si soccomba di fronte a quello che potremmo definire un vero e proprio “shock da modernità[3].

L’intelligenza artificiale rappresenta un’ottima opportunità per l’intera umanità, ma perché rimanga tale e non finisca, al contrario, per supplire all’uomo e al fine di evitare eccessi e abusi occorre una congrua regolamentazione normativa.

Molti sono i problemi, non pochi dei quali correlati alla stessa definizione dell’IA. Se volessimo, infatti, trovare una definizione accurata, dovremmo inevitabilmente constatare che l’IA cambia nel tempo, si evolve, diviene più intelligente, essendo dotata, in alcuni casi, anche di capacità di autoapprendimento. Si potrebbe in tal senso parlare di tecnologia generativa[4]  che changes over time as people work with and through new technology[5].

Fin dalle sue prime apparizioni la giurisprudenza italiana si è interessata al tema, senza tuttavia riuscire a dotare l’ordinamento di un’adeguata regolamentazione. Si possono citare alcuni pioneristici lavori di Mario Losano[6], Vittorio Frosini[7] e Stefano Rodotà[8].

L’importanza di intervenire fin da subito è legato al fatto che robots e sistemi di IA possono contribuire a cagionare danni fisici e morali nonché economici con il loro comportamento.[9] Per citare alcuni casi, si pensi alle c.d. driverless cars o all’uso dell’IA nel settore militare con la conseguente diffusione di armi autonome [10].

Strettamente connesso a tali osservazioni è ovviamente il tema della responsabilità: a chi imputare eventuali danni dell’IA, specie quando il sistema in questione presenta livelli elevati di autonomia?[11] Sul tema devono segnalarsi le varie pronunce della Commissione che propose, in tempi non molto lontani, delle definizioni europee comuni di sistemi ciberfisici, sistemi autonomi intelligenti e delle relative sottocategorie; e iniziò anche a valutare se fosse opportuno affidare la gestione del sistema di registrazione e del registro a un’agenzia appositamente preposta dell’UE per la robotica e l’intelligenza artificiale. [12]

La questione è se applicare la responsabilità oggettiva o della gestione dei rischi, eventualmente coperti da un regime assicurativo obbligatorio, ove pertinente e necessario per categorie specifiche di robot, nonché pensare all’istituzione di uno status giuridico specifico per i robot nel lungo periodo in modo tale che almeno i robot autonomi più sofisticati possano essere considerate come persone elettroniche responsabili di risarcire qualsiasi danno da loro causato, nonché eventualmente il riconoscimento della personalità elettronica dei robot che prendono decisioni autonome o interagiscono in modo indipendente con i terzi.

L’intervento comunitario concreto non ha mai tardato ad affermarsi. Si pensi al Regolamento UE 2019/452, del Parlamento e del Consiglio, in risposta al tentativo del colosso cinese Huawei di impegnarsi nel campo dello sviluppo delle reti di comunicazione tecnologica di ultima generazione 5G, dei sistemi cloud e di intelligenza artificiale, con l’intento di creare un’Europa Intelligente e Digitale, usando le parole di Vicent Pang, Presidente della Western Region di Huawei, pronunciate in occasione dell’evento annuale 2019 “Huawei Eco-Connect Europe.[13]

Ulteriori vantaggi e, al contempo svantaggi, in tema di mancata normativa di settore, sono le nuove tecnologie che possono essere usate in ogni ambito del diritto. Esempi si rinvengono agilmente nel processo amministrativo. Trattandosi di argomenti particolarmente delicati occorre regolare l’intera giurisdizione con particolare attenzione al fine di evitare incidenti processuali e similari.

L’IA pone una delicatissima questione anche sul tema della privacy. Tre sono le questioni maggiormente discusse negli ultimi tempi[14]: i) chi controlla l’intelligenza artificiale, ii) la quantità di dati esterni, iii) la propagazione dei dati. Diviene fondamentale comprendere chi può trattare questi dati e quali sono i margini di discrezionalità nell’agire che ciascuno dei soggetti preposti possiede.

Anche la pubblica amministrazione fa ampio ricorso all’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Stando agli ultimi dati Istat, la quasi totalità delle pubbliche amministrazioni utilizza applicativi digitali per l’espletamento delle proprie funzioni. Molto importante, ad exemplum, il ricorso a servizi quali cloud computing, strumentazioni GIS, oltre che un generale interesse ad investire in tecniche di analisi e gestione integrata dei dati.[15]

Significativi anche gli investimenti (circa 9.72 miliardi di euro) riservati dal PNRR alla Componente “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA”.

Il tema dell’intelligenza artificiale interessa anche il diritto costituzionale: è ormai quasi una costante la menzione del c.d. “diritto alla connessione”. Il tema, trattato abilmente da Stefano Rodotà e dall’omonima Commissione, merita dunque approfondimento. Nello specifico, Rodotà formulò una delle prime proposte di revisione costituzionale per l’introduzione del nuovo art. 21-bis della Costituzione in occasione della III Edizione dell’Internet Governance Forum Italia. [16] Il testo formulato e poi proposto era il seguente: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire le violazioni dei diritti di cui al Titolo I della parte I ”. Tale iniziativa è stata poi formalizzata in un disegno di legge mai ufficialmente approvato (si tratta del Disegno di Legge costituzionale n. 2485 del 2010, “Introduzione dell’articolo 21-bis della costituzione, recante disposizioni volte al riconoscimento del diritto di accesso ad Internet”).

È bene precisare che, ad oggi, l’accesso a Internet rientra a pieno titolo nella c.d. “quarta generazione dei diritti”[17], definizione con sui si intende l’esigenza di assicurare l’effettiva generale fruizione del servizio da parte della collettività.

A livello internazionale le Nazioni unite hanno sottolineato anche la “natura globale e aperta di Internet come forza trainante in grado di accelerare il progresso verso lo sviluppo in tutte le sue forme”. Spetta ovviamente agli Stati singoli assicurare il mantenimento di effettive condizioni di accesso alla rete. Nella stessa direzione deve leggersi la raccomandazione del Parlamento europeo del 26 marzo 2009 in tema di rafforzamento della sicurezza e delle libertà fondamentali su internet da cui si evince chiaramente che esso sta divenendo strumento indispensabile per la promozione di iniziative democratiche, un vero e proprio elemento di spicco per il dibattito politico, nonché strumento fondamentale per l’esercizio effettivo della libertà di espressione e lo sviluppo di attività commerciali. Anche l’ONU si è mossa nella stessa direzione, discorrendo di un vero e proprio ecosistema digitale.

Curioso spunto da menzionare, con riferimento al tema, è anche la Dichiarazione dei Diritti in Internet, ufficialmente adottata il 28 luglio del 2015 dalla Commissione per i diritti e doveri relativi ad Internet della Camera dei Deputati del Parlamento italiano, in riproduzione, in realtà, di una medesima iniziativa legislativa brasiliana: “Marco Civil”. In essa si afferma che “l’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite. Le istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale, tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità”.

Lungimirante la revisione costituzionale realizzata in Grecia nel 2001 per l’introduzione del nuovo articolo 5° della Carta fondamentale con l’intento di garantire un effettivo accesso alle risorse elettroniche, nonché l’articolo 6 della costituzione portoghese che garantisce il libero accesso alle reti informatiche di uso pubblico.

Ulteriori esempi giungono dall’America latina, e, nello specifico, dall’articolo 15 della costituzione ecuadoregna che enuncia espressamente il diritto di accesso universale alle tecnologie di informazione e comunicazione in condizioni di eguaglianza, libertà e inclusività. Sempre con riferimento all’America anche il Messico e nel dettaglio l’articolo 6 comma 3 della costituzione messicana che, dopo la revisione del 2013, garantisce il diritto di accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, comprendendo la banda larga e internet.

Nello stesso solco deve leggersi l’articolo 108 della costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela nella parte in cui pone a carico dello Stato l’obbligo di garantire i servizi pubblici di radio, televisione e reti di biblioteche informatiche con l’intento di garantire l’accesso universale all’informazione.

Anche il Perù ha espressamente previsto il diritto di accesso ad Internet e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione stabilendo l’impegno dello Stato ad assicurare la copertura dei sistemi di connessione alla Rete, soprattutto con riferimento alle aree rurali e la pianificazione di programmi educati di alfabetizzazione informatica.[18]

Più recentemente, il tema dell’intelligenza artificiale è stato affrontato organicamente in ambito comunitario col fine di garantire un sistema sicuro e il rispetto dei valori e principi fondamentali dell’Unione europea.

Nello specifico, il 9 dicembre del 2023, Commissione, Consiglio e Parlamento europeo hanno approvato il c.d. AI Act, regolamento che disciplinerà l’uso dell’intelligenza artificiale all’interno dell’Europa. È importante ricordare che esso rappresenta il primo regolamento al mondo di tal genere e portata. Essendo il primo e più rilevante esempio, potrebbe fissare uno standard globale per la regolamentazione in tante altre giurisdizioni, il che renderebbe di conseguenza più semplice una trattazione unitaria. Con tale regolamentazione l’UE intende sviluppare un’intelligenza artificiale che sia: etica, sicura e affidabile.[19] Le nuove norme regolamenteranno con maggior severità il settore determinando obblighi per i fornitori e disciplinando l’autorizzazione dei sistemi di IA nel mercato unico dell’UE.

La disciplina, conscia degli innumerevoli rischi cui l’utente dei servizi offerti può andare incontro durante l’uso dei servizi offerti, differenzia fra:

  • Rischi minimi o nulli
  • Rischi limitati
  • Rischi elevati
  • Rischi inaccettabili.

In caso di rischi minimi o nulli non verrà applicata la disciplina, dal momento che i rischi per l’utente sono minimi e in quanto tale non necessitano di particolare attenzione o premura.

In caso di rischi limitati, i servizi saranno oggetto di obblighi di trasparenza minimi affinché vengano prese decisioni in modo consapevole.

Discorso totalmente diverso in caso di rischi elevati o, ancor più profusamente, in caso di rischi inaccettabili. Nel primo caso sono fissati tutta una serie di requisiti e obblighi stingenti per l’accesso al mercato UE, nel secondo, vi è una totale preclusione all’accesso al mercato, in quanto i rischi sono eccessivi (esempli sono la manipolazione cognitivo-comportamentale, riconoscimento delle emozioni sul luogo di lavoro).

Il regolamento sull’IA non intende solamente porre dei limiti, ma, al contempo, promuovere investimenti a sostegno dello sviluppo e dell’innovazione dell’IA. Il tutto, ovviamente, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e dei valori dell’UE.

L’idea particolarmente innovativa riguarda anche l’istituzione di un vero e proprio ufficio per l’IA all’interno della Commissione con l’incarico di supervisionare i modelli più avanzati e promuovere norme e pratiche di prova affinché vengano rispettati tutti i parametri pensati.

Al contempo, un gruppo scientifico di esperti indipendenti fornirà consulenza all’ufficio per l’IA, contribuendo allo sviluppo di metodologie per valutare le capacità dei modelli di base.

Un comitato per l’IA, composto da rappresentanti degli Stati membri, rappresenterà una piattaforma di coordinamento e un organo consultivo della Commissione.

Per finire, un forum consultivo fornirà competenze tecniche al comitato per l’IA col fine, principalmente, di soddisfare gli interessi di PMI, start-up e società.

Alla luce della presente analisi, risulta chiaro che l’avvento dell’IA rende necessaria una pronta presa di posizione affinché con la celerissima evoluzione della tecnologia i giuristi e i cittadini non finiscano per soccombere. Occorre armarsi di leggi appositamente pensate e idonee a regolare il corretto funzionamento dell’Internet e dell’IA, allo scopo di far sì che uno strumento così prezioso che dovrebbe essere abilmente usato dall’uomo per le esigenze anche giornaliere non finisca per “usare l’uomo”. Inoltre, dal momento che i temi e le discipline toccate sono innumerevoli e risulta molto facile perdersi un’area tanto intricata, sarebbe molto proficua la realizzazione di un vero e proprio codice unitario della disciplina.

L’IA rappresenta il futuro, il domani, una fondamentale opportunità per l’umanità intera, ma come ogni prodotto umano necessita di una congrua regolamentazione, anche legislativa. Appartiene, dunque, ad ogni uomo di diritto l’onere e la responsabilità, anche solo morale, di pensare, ideare, produrre apposite normative sul tema. Il progresso è movimento, un costante ed emozionante divenire, sempre più incalzante, quasi come l’arte della vela. Ma al pari di essa, ha bisogno di essere ben direzionato e usare il vento (il sapere di ogni giurista) a proprio vantaggio per continuare a navigare agilmente e senza incidenti.

 

Fausto Pucci


[1] Intervento di S. Hawking durante la Conferenza Zeitgeist, Londra, maggio 2015

[2] DELLA GIUSTINA, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile n. 4-2023, pp. 1248 ss.

[3] F. STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Giuffré, 2003, pp. 292 ss.

[4] A. D’ALOIA, BioLaw Journal, Rivista di BioDiritto, n. 1/2019, p. 8

[5] J. BALKIN, The Path of Robotics Law, 47

[6] M. G. LOSANO, Giuscibernetica: macchine e modelli cibernetici nel diritto, Torino, 1969.

[7]  V. FROSINI, Cibernetica, diritto e società, Milano, 1973

[8]  S. RODOTA’, Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bologna, 1973

[9]  R. CALO, Robotics and the Lessons of Cyberlaw, in California Law Review, vol. 103, 2015, 513 ss., 515, 532

[10] A. D’ALOIA, BioLaw Journal, Rivista di BioDiritto, n. 1/2019, p. 12

[11] ibidem

[12] DE GIOIA CARABELLESE, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, n.4-2023, p.1256

[13] G. SCARCHILLO e A. IMPERIA, Golden Powers: una terza via per l’intervento pubblico in mercati internazionali strategici, Rivista del commercio internazionale, n.3-2023, pp. 618-618

[14] DELLA GIUSTINA, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile n. 4-2023, pp. 1248 ss.

[15] G. G. Cusenza, La rilevanza probatoria delle nuove tecnologie nel processo amministrativo, Rivista Diritto processuale amministrativo, n. 2/2023, pp. 424 ss.

[16] A. ALU’, Il doppio volto di Internet tra l’accesso e l’uscita e il paradosso della “trappola” digitale, Rivista di Diritto di Famiglia e delle Persone, n. 2/2023, pp. 627 ss.

[17] Ibidem

[18] Si vedano i nuovi articoli 2 e 14 del testo costituzionale.

[19] Per un approfondimento si consulti: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/artificial-intelligence/#AI%20act

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