Quello che Sopravvive: in Morte di Franco Anelli

 

Strana cosa, il dolore. Soprattutto quello che si prova quando muore una persona che non hai conosciuto se non superficialmente, se non in parte: di cui hai potuto scoprire solo un lato, una storia, un momento. Quel dolore che sembra abusato, sottratto a chi spetta per davvero, a chi può, e deve, piangere. Agli amici di sempre, alle madri, ai padri, ai figli, ai compagni di vita.

La misura del dolore, però, in fin dei conti, dipende da chi ne è attraversato, e non da ciò che ne è causa. E persone incontrate anche solo per qualche minuto, nel bilancio misterioso della vita, possono contare tanto. Forse troppo. In modo irragionevole, immotivato. Di simboli viviamo, e di simboli possiamo morire.

Qualche mese fa ho avuto la fortuna di ascoltare un breve intervento del Professor Franco Anelli. Un quarto d’ora, forse meno. Su un tema che esulava completamente dal suo ambito di docenza e di ricerca. Quel quarto d’ora riesco a definirlo con una sola parola: Talento. Un immane, straordinario, unico, Talento. Qualcosa che non si impara, non si studia (anche se lo studio, rigoroso e appassionato, è stato una delle cifre della sua vita). Non si apprende. Lo si può accompagnare e nutrire, ma o c’è o non c’è. Lì c’era. In tutta la sua disarmante sincerità. In quell’uomo tanto geniale, tanto ironico, tanto giusto.

Non ho avuto il privilegio di conoscere il Professor Franco Anelli, se non attraverso un rapido saluto, la lettura di alcuni tra i suoi scritti, quel breve discorso. Non posso comprendere la perdita, ed il dolore, di chi, invece, lo ha avuto.  Ma posso comprendere il mio. Che corrisponde a quel bellissimo, luminoso, quarto d’ora. O meglio, alla coscienza che non ve ne saranno altri. Che tutto quel talento, quell’intelligenza, quel genio, abbiano cessato di esistere; su questa terra, almeno.

Ma qualcosa sopravvive. Qualcosa deve sopravvivere. Un ricordo fatto di pagine, di affetto, di impressioni. Di idee. Che si tramandano nel tempo, e nelle generazioni. Un modo di essere, di stare al mondo, di cambiarlo.

E quel qualcosa basta, o, più che altro, deve bastare. Altro, non ci è dato.