Il cerchio ha goduto di particolare fama presso molte culture. Il tempo, ad esempio, era per l’antichità classica circolare. Non è raro invenire in simili concezioni presso culture orientali, quali buddismo zen o induismo.
Di recente anche l’Occidente è stato reinvestito da un particolare culto del non lineare, specialmente in ambito economico quando il paradigma dell’economia circolare, proposto dalla fondazione Mac Artur Ellen e adottato come modello, tra gli altri, da Unione Europea e World Economic Forum, si è imposto come possibile soluzione al problema della sostenibilità delle nostre economie. L’idea alla base è abbastanza semplice. Un prodotto ha un determinato valore di mercato che generalmente aumenta al progredire dello stadio produttivo. La ghisa acquisisce più valore quando diventa un motore, e il motore quando diventa parte di una macchina. Una volta che il prodotto è usato e gettato si interrompe questa felice ascesa nella piramide del valore: nessuno vuole quel prodotto e il suo valore di mercato crolla. A questo vanno chiaramente aggiunte le conseguenze ambientali di prodotti che vengono mandati al macero dopo l’utilizzo e che contribuiscono ad aumentare la massa di rifiuti da smaltire, con ripercussioni negative sui suoli, falde acquifere e spesso anche in termini di anidride carbonica. Da qui l’idea. Perché non rimettere nel ciclo produttivo un prodotto anziché perdere quel prezioso materiale o semilavorato che lo compongono? Riutilizzo, riciclo e rinnovamento dei prodotti sono dunque le pratiche da attuare per ovviare a questo problema. E fin qui non pare ci siano criticità. Perché mai dovremmo opporci a quello che a prima vista sia una soluzione win-win, dando una risposta tanto alla lotta allo spreco quanto alle difficoltà di approvvigionamento dei materiali e l’inquinamento? Perché non implementare un modo di produrre che ci permette di non cambiare radicalmente gli incentivi del nostro attuale sistema economico ma facendo rientrare al contempo alcune delle sue criticità? Perché insomma ancora tanti ostacoli alla sua adozione?
La questione a monte è racchiusa nelle motivazioni che porterebbero ad una sua implementazione. Generalmente, come detto, si ritiene che essa possa contribuire a rendere più sostenibili i nostri sistemi produttivi. Ma è davvero così? Andiamo al punto. No. Per quanto affascinante e suadente, l’economia circolare ha delle aporie concettuali e pratiche non trascurabili. Abbiamo detto che l’idea fondante è che i prodotti finiti anziché essere buttati vengano riciclati, rinnovati o riutilizzati.
Questo pone almeno due problemi iniziali. Innanzitutto, ciò è fisicamente possibile? Esiste, cioè, una legge fisica, naturale, che mi permetta di far sì che ci sia un processo che mi riporti dal prodotto finale agli stati tecnici precedenti? Prendere alla leggera la questione vuol dire sostanzialmente pretendere che riscaldare un acquario con dei pesci per poi raffreddarlo faccia sì che i poveri pesci morti per il calore vengano magicamente riportati in vita. O che ancora un tronco bruciato possa miracolosamente tornare fibra viva dalle polveri. Simpatici esempi per quello che da secoli si chiama secondo principio della termodinamica ma che alcuni sostenitori dell’economia circolare sembrano talvolta ancora ignorare.
Andiamo al secondo problema. Queste pratiche risolvono davvero il problema della sostenibilità? Forse sembra che ridurre un problema estremamente complesso come quello delle esternalità negative ambientali al riportare in vita prodotti buttati sia una semplificazione decisamente eccessiva. Indovinate un po’, talvolta riportare i rifiuti in vita inquina più del lasciarli decantare, per poi lasciare loro stessi rifiuti nel tentativo di toglierne. Geniale. Premesso che poi questo si possa fare. Alcuni rifiuti sono irrecuperabili, come quelli dispersi nell’aria, quelli che penetrano nel suolo o si degradano o ancora si decompongono. A livello logistico poi non ne parliamo. Come si rende riutilizzabile un rifiuto tossico? Il problema dei rifiuti è anch’esso affrontato in maniera semplicistica. La questione degli ostacoli organizzativi, geografici, politici, amministrativi non viene spesso neanche menzionata. La logistica dei rifiuti cambia in continuazione ed è estremamente volatile, rendendo le scelte di produzione di eventuali aziende circolari estremamente incerte e complicate. Come se non bastasse, considerare i rifiuti una risorsa ne potrebbe aumentare la domanda, portando a maggiori consumi e produzione ancora maggiore di rifiuti. Brillante. In ogni caso sembra appurata in letteratura l’impossibilità di sostituire completamente la produzione primaria, cioè quella con materiale non di provenienza circolare. Ma poi effettivamente sarebbero prodotti venduti? Attualmente sembra improbabile che il consumo circolare si sposti dall’essere un bene di lusso di nicchia ad un uso di massa.
Questo chiaramente non vuol dire che non ci siano alcune pratiche circolari fattibili ed effettivamente sostenibili. Ma che oltre ad essere la base di attraenti slogan delle pubblicità non costituiscono davvero una soluzione al complessissimo problema dell’inquinamento e del cambiamento climatico, che dovremmo affrontare con strumenti ben più ragionati.