Sappiamo quante persone si sentono sole nel loro dolore, nelle loro paure. Per questo abbiamo deciso di inaugurare una nuova rubrica, che tratterà di salute mentale, per venire incontro ad ognuno di loro. Per tendere una mano, per mostrare che, anche nel periodo più buio, non siamo soli.
Di seguito, una pagina tratta dal mio diario.
01.12.2022
Quanto si può essere attaccati alla vita lo sa solo chi quando stava per fare l’ultimo passo è tornato indietro. Chi a metà caduta ha guardato in alto e ha teso la mano.
Sul ponte guardavo giù verso il Tevere e mi immaginavo camminare vicino al bordo, con la suola delle scarpe ad un millimetro dal baratro. Con le spalle verso il mondo camminare in direzione opposta. Mi immaginavo saltare giù senza guardarmi per un secondo dietro.
Mi odiavo. Mi odio. Anche adesso, che due ore dopo sto lasciando uscire tutto su un display bianco e guardo il cursore lampeggiare. Anche adesso, che sono al sicuro nel caldo di camera mia, mi odio. Mi odio perché non ho avuto il coraggio neanche di lasciare che finisse tutto. Però lì per lì ho avuto paura. Lì per lì ho pensato: e se a metà strada ci ripensassi, chi mi riporterebbe su?
Non ho il coraggio, perché non ho la voglia.
Mi rendo conto di essere così stanca che non ho voglia neanche di andarmene.
Fino a poco tempo fa mi dicevo che non l’avrei fatto finché non avessi saputo come finiva la storia. La mia storia. Nonostante la consapevolezza che sono io a poter mettere un punto, a dire ‘questo è l’ultimo capitolo dell’ultimo volume, arrivederci e grazie per la pazienza’. Ma finché avrò voglia di scrivere, l’ultimo passo rimarrà un’idea appesa.
Ancora un’ultima pagina, per favore.
Che poi veramente ho tanta voglia di vivere. È solo che mi manca la forza per farlo. È solo che mi manca la forza, è che il modo in cui lo voglio fare io richiede coraggio. Ed io non so quanto coraggio abbia. Non so quanto forte io sia.
Ieri ho pensato ad una frase che mi ha detto un mio amico. Mentre ero sdraiata sul letto a guardare il soffitto e ripercorrevo con la mente tutte le possibilità che ho avuto e tutte le scelte sbagliate che ho fatto per trovare una risposta alla domanda: ‘come ci sono finita qui?’. E la risposta è sempre ‘perché sei una cogliona, ecco come’. Però non mi soddisfaceva. E mentre mi rigirava nella testa questa domanda, e la stessa risposta continuava a fare capolino, sono riemerse quelle parole come un salvagente in un mare in tempesta. Inutile, ma sei contento che perlomeno un segno di vita ci sia.
‘Tutti i ragazzi talentuosi, d’altronde, sono molto fragili’. Tutti i ragazzi talentuosi, d’altronde, sono molto fragili.
Ho sempre avuto paura di essere fragile. Perché fragile, a casa mia, è un bicchiere di cristallo che si usa solo a Capodanno per fare il brindisi, e devi stare attento quando lo alzi, perché se ti rimane in mano la coppa sono cazzi. È un bicchiere che chiudi dentro la dispensa e che tiri fuori
una
volta
all’anno.
Quindi passi tutta la tua vita a non farti vedere. A nasconderti dentro una scatola di cartone, circondato dal pluriball perché vieni tirato fuori
una
volta
l’anno.
Essere fragili fa spavento. Perché chi ti vede sa di doverti trattare con i guanti bianchi. E mai nessuno avrà il coraggio di dire ‘A ma’, ma ‘sti bicchieri fanno schifo’. Non lo dici. Perché tanto si tratta di toccarlo per un secondo e poi via. Neanche ti ricordi come sono fatti, quei bicchieri.
A me piaceva l’idea di essere forte. Mi piaceva l’idea di poter fare tutto, di non spezzarmi mai. Ma poi te lo dice anche la favola che a non spezzarsi è chi impara a piegarsi. E chi si piega è fragile. Chi si piega sa quando addolcirsi. Chi si piega ha gli angoli smussati.
Chi si piega si ferma un secondo prima di fare l’ultimo passo.
Che poi per carità, non sarei mai morta. Per farlo bene ti getti in autostrada, non nel Tevere, che al massimo ne esci con l’epatite C e vai diretto in un centro di recupero psichiatrico.
Però il senso è quello.
Il senso è che mi sono fermata a guardare l’acqua e ho pensato fermati. Ho pensato rifletti. Ho pensato a quando da piccola correvo per casa facendo finta di avere le ali, a quando giocavo con le mie amiche in piscina ai delfini e a quando sognavo di fare la pianista. A quando ho scritto il mio primo libro. A quando ho abbandonato il disegno, il pianoforte e ho smesso di leggere. Ma non ho mai smesso di scrivere. E finché avrò voglia di scrivere, non metterò un punto a questa storia.
Perché le cose fragili le usi una volta all’anno. Ed il bicchiere farà di nuovo capolino il 31 Dicembre. Ma io non sono fatta di cristallo.
E tutte le persone talentuose, d’altronde, sono molto fragili.
Come tutte le persone talentuose, d’altronde, sono molto fragile.
di Flavia Gatti