“Nel senso più ampio (che è anche quello originario), si chiama animale ogni essere animato, cioè ogni organismo vivente dotato di sensi e capace di movimenti spontanei; in questo senso, è animale anche l’uomo.”.
Sono queste le prime frasi che il dizionario Treccani riporta sotto la definizione di “animale”.
Aristotele sostiene che l’essere umano è quell’animale dotato di una specifica capacità: il logos. L’immensità e lo splendore di questo termine sono stati a tal punto contaminati dalla volontà di potenza dell’uomo da trasformarsi nell’artificiale luce della ratio. È così che noi oggi ci riteniamo animali razionali.
Ma lo siamo davvero? Abbiamo il coraggio di dire che facciamo parte di un mondo animalesco? Noi siamo anzitutto esseri animati, cioè aventi un’anima. Ma dopo migliaia di anni la faida tra corpo e anima sembra giunta al termine: oggi l’anima non esiste.
Chi ci crede viene stigmatizzato come un irrazionale, come se questo fosse un insulto, perché se siamo “animali razionali”, l’irrazionale è il non-umano.
Dunque, cosa ci resta? La ragione è un grande dono, che ha permesso all’uomo di raggiungere obiettivi inimmaginabili, ma questo dono lo ha reso avido. La ragione è ciò che noi siamo in grado di fare, non chi noi siamo.
Per questo bisogna rivendicare il diritto alla cura dell’anima. Il primo passo è aprirsi all’irrazionalità dell’inconscio e abbracciare una psico-sofia, capace di far brillare la sacrale bellezza insita in noi, capace di farci sentire che il dolore non è un trauma del passato, ma una forza che agisce nel presente e impedisce il futuro, ingabbiandolo nella ripetizione. La bussola da seguire è quella dell’amore, che non garantisce successo come fa la paura, ma promette le ali a chi soffre di vertigini.
Paura o amore. Vincitori o vinti. Mi sembra questa la lotta che ogni biografia racconta. Assenza o presenza. Soli o insieme.
Ognuno ha il diritto di scrivere la storia della sua anima, scegliendo tra la penna nera e quella rossa, così come ognuno ha il diritto ad una scelta libera, perché quando si dimentica la narrazione dei vinti si finisce per essere schiavi dei peggiori tiranni.