Riscoprire il Mediterraneo: Il ruolo dell’Italia nel ripensare le dinamiche e le potenzialità del Mare Nostrum

La storia di un popolo non è un elenco di accadimenti passati: è la chiave per definire chi siamo e dove possiamo arrivare. Noi italiani abbiamo dimenticato cosa significa essere un popolo mediterraneo. Abbiamo veramente rinunciato alla nostra vocazione di ponte tra civiltà, cultura e commerci per inseguire modelli che non ci appartengono? Oggi, tensioni e crisi complesse su scala globale ci pongo davanti a una sfida cruciale: restare spettatori del futuro del Mediterraneo oppure riscoprire il nostro ruolo da protagonisti del Mare Nostrum, ricostruendo una rete di prosperità e dialogo tra le sponde di un mare che è sempre stato una parte di noi. Una parte, questa, che ora attende solo di essere risvegliata.

 

Il ruolo della Storia

La Storia serve a capire chi siamo, da dove veniamo e, forse ancora di più, dove stiamo andando. Essa viene in nostro aiuto nella risoluzione dei problemi che ci affliggono. Eppure, non lo fa fornendoci ‘soluzioni pronte all’uso’, ma mostrandoci le radici dei problemi: come sono sorti e si sono sviluppati. “Un popolo che non conosce la sua storia è dunque un popolo che non conosce sé stesso e che avrà difficoltà a risolvere i problemi che deve affrontare”, scrisse nel 1994 lo storico italiano Carlo Cipolla in Lezioni per il presente, una breve introduzione scritta per il saggio Storia facile dell’economia italiana dal medioevo a oggi. [1]

Le volte in cui il nostro popolo, forte di un’effige comune, ha saputo veramente germogliare e prosperare si contano sulle dita di una sola mano. Questi periodi di grande fioritura per l’Italia si trovano nelle epoche più disparate, separati da secoli bui di crisi e guerre; eppure, c’è un elemento che li accomuna tutti: abbiamo saputo sfruttare i nostri punti di forza.

 

Un’Italia con i paraocchi

La visione economicistica che domina l’Occidente porta tutti i suoi stati membri, Italia inclusa, a privilegiare l’efficienza economica e la crescita a breve termine, spingendoli però a trascurare una pianificazione strategica che invece, alla lunga, è di vitale importanza. Oggi il nostro Paese ha gli occhi puntati sulla Mitteleuropa perché siamo convinti che il futuro del continente sia lì e che, forse, dipenda proprio da quei paesi dell’Europa centrale. Facciamo di tutto per farci accettare dai cugini europei e per essere inclusi nella loro cerchia: questo, in fondo, perché ci sogniamo tedeschi.

Eppure, l’Italia non è la Germania, non ha ferro e carbone; l’Italia non è l’Inghilterra, non ha carbone e petrolio; l’Italia non è la Francia, ricca di ogni ben di Dio. L’Italia è caratterizzata da una condizione di naturale povertà: l’unico modo in cui può prosperare è esportare, insiste Cipolla.  È chiaro: se vuole sopravvivere e fiorire, l’Italia deve commerciare. Con chi commerciare? Noi italiani ci siamo messi i paraocchi: siamo talmente tanto concentrati sui mercati europei che ci siamo completamente dimenticati la nostra vera natura, la nostra vera vocazione. “L’Italia, una penisola senza mare”, questo il titolo, perfettamente esemplificativo della situazione italiana attuale, usato da Dario Fabbri in un suo articolo del 2020. [2]

 

Una penisola senza mare

Del Mediterraneo, le cui acque coccolano i popoli che abitano le nostre terre da quando ne abbiamo memoria, in Italia se ne parla soltanto in estate, quando si sceglie una meta per trascorrere le poche settimane di vacanze a disposizione, o nel contesto di una crisi migratoria che vede nel nostro Paese uno dei grandi soggetti coinvolti. Questa crisi non fa che aggravare una visione (lontanissima dalla verità) che il nostro Paese ha del Mediterraneo come di un mare su cui si affacciano ‘popoli arretrati’ da cui abbiamo poco da imparare.

Mentre altri Paesi si contendono il primato (chi commerciale, chi militare, etc) nel Mediterraneo e cercano di stabilire proprie sfere d’influenza, l’Italia, rinunciando alla propria natura di ‘repubblica marinara’, sceglie di essere spettatore passivo e di permettere che gli altri scelgano il futuro del Mare Nostrum, nella più classica ‘indifferenza italiana’. Le conseguenze che l’Italia paga sono tante e care, oltre che amare. Ricorda infatti correttamente il filosofo francese Émile Boutroux: “C’è qualcosa di più terribile della guerra, è la pace comprata con la totale rinuncia alla vita e alla legge”.

“La situazione è sempre stata questa, è impensabile cambiare rotta” oppure “non abbiamo i mezzi materiali per farlo”: queste le obiezioni che spesso si sentono fare alle proposte di un’Italia più attiva nella creazione di benessere e di relazioni politico-commerciali. Non è vero, ci sono stati uomini che ci hanno dimostrato chiaramente (e praticamente) che una strada di interesse nazionale perseguibile per il nostro Paese c’è. Tra questi, Enrico Mattei.

 

L’eredità di Enrico Mattei

Egli rappresenta una figura cruciale nella storia industriale e politica italiana del secondo dopoguerra. Nel 1945 fu nominato commissario liquidatore di AGIP (l’azienda petrolifera nazionale, considerata ormai un relitto del passato fascista), con il mandato di chiudere la società e vendere i suoi asset. Mattei però intraprese una strada diversa: non vide in AGIP un’azienda da smantellare, ma un’opportunità di trasformazione per l’Italia, offrendole l’indipendenza energetica che nessuno riteneva possibile. Convinto del ruolo strategico che il nostro Paese avrebbe potuto assumere nel panorama energetico mondiale e forte di una determinazione incrollabile, riorganizzò AGIP e fondò ENI. Questa, in pochissimi anni, divenne simbolo di rinascita nazionale del dopoguerra, oltre che indiscussa protagonista del ‘miracolo economico italiano’. Sotto la guida di Mattei, ENI divenne una missione: sviluppare risorse e competenze, creare posti di lavoro e garantire all’Italia un futuro migliore e più solido attraverso la creazione di legami forti con altre nazioni. Egli vide nel petrolio non solo una risorsa da sfruttare, ma un modo per dare dignità e sviluppo all’Italia e ai Paesi con cui decideva di collaborare, forgiando ‘alleanze’ che sfidavano le logiche dominanti dei grandi consorzi petroliferi di allora.

Il suo approccio, infatti, non si limitava alla mera acquisizione di risorse: Mattei sosteneva una collaborazione fondata su rapporti mutualmente vantaggiosi. Offriva tecnologia e investimenti, contribuendo allo sviluppo economico dei Paesi partner, creando un legame profondo che andava oltre il semplice scambio commerciale. Questo permetteva all’Italia non solo l’approvvigionamento energetico necessario, ma la posizionava come attore chiave nel panorama geopolitico mediterraneo, riconoscendo e valorizzando le potenzialità di quei popoli spesso trascurati dalla narrativa dominante.

 

Un Mediterraneo da ricostruire

Echeggia ancora, dopo quasi tre secoli, il monito del politico inglese Edmund Burke: “La società è un patto non solo tra viventi, ma tra i viventi, morti e nascituri” [3]. Si traduce, per noi italiani, nell’urgenza di riscoprire il nostro legame storico con il Mediterraneo. Ignorarlo significa tradire il nostro passato e le generazioni future che beneficerebbero di un’Italia che riconosce e sfrutta la sua chiamata naturale come ponte tra Europa, Africa e Medio Oriente.

Oggi, a più di sessant’anni dalla morte di Enrico Mattei, il suo nome ritorna, legato stavolta a un progetto che ha lo scopo di “rilanciare l’Africa policy dell’Italia” [4]. Il Piano Mattei, presentato dal Governo Meloni, si propone di reimmaginare le relazioni tra l’Italia e i Paesi africani, con l’obiettivo di raggiungere (ispirandosi all’operato dell’omonimo industriale) una relazione di mutuo beneficio, partendo dalla necessità europea di nuove rotte di fornitura energetica e da quella africana di sviluppare la propria produzione. Poi, in realtà, il piano ha sogni molto più grandi: vedere il Mediterraneo (e quindi l’Italia) come il fulcro di un rinnovato crocevia fertilissimo per stimolare dinamiche di scambio e cooperazione.

La realizzazione di un progetto del genere dipende dalla capacità del nostro Paese di costruire relazioni basate sulla fiducia, sulla comprensione delle reciproche differenze dei Paesi coinvolti e, soprattutto, da una pianificazione strategica di lungo termine. Dunque, le sue potenzialità non sono affatto scontate. È essenziale non cadere nella trappola di considerare questi Paesi come meri fornitori di risorse, ma come partner con cui condividere visioni e obiettivi comuni. È solo attraverso un approccio che valorizzi le competenze e le esperienze di tutti i soggetti coinvolti che finalmente sarà possibile dare vita a un’autentica sinergia che rinnovi il Mediterraneo. Questo, finalmente, tornerebbe a rappresentare un laboratorio di innovazione e sostenibilità, dove le risorse, le culture e le idee viaggiano liberamente.

Al Piano Mattei, dunque, si riconosce il potenziale di poter ridisegnare il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, ma è necessaria una riflessione profonda sulle modalità di attuazione. Questa non si limita a un investimento in infrastrutture e tecnologie, ma richiede un impegno a promuovere un dialogo interculturale che superi le storie di conflitto e diffidenza. Riscoprire le radici storiche che legano l’Italia ai popoli del Mediterraneo è fondamentale per costruire un futuro in cui il Mare Nostrum torni a essere un luogo di scambio e arricchimento reciproco.

In conclusione, il Piano Mattei rappresenta una chiamata all’azione per l’Italia. È l’occasione per riflettere su come possiamo ripensare le nostre relazioni nel Mediterraneo, non come una serie di scambi economici, ma come un dialogo continuo che riconosce la complessità e la ricchezza delle identità culturali coinvolte. Solo così potremo tornare a vedere il Mediterraneo non come un confine, ma come un ponte verso un futuro di prosperità condivisa.

[1] Carlo M. Cipolla, Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi, Mondadori, 1995.

[2] D. Fabbri, Italia, penisola senza mare, Limes, 2020.

[3] E. Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, 1790.

[4] Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Il Piano Mattei: rilanciare l’Africa policy dell’Italia, 2024.