Recenti polemiche riguardanti una nuova imposta sulle criptovalute hanno acceso molti interrogativi su cosa siano, sui loro vantaggi, ma anche e soprattutto sui loro rischi. L’aggravio dell’imposta scatterà nel 2025 rendendo l’Italia uno dei paesi con l’imposizione più alta su questi redditi. Il tasso di imposta passerà dal 26% al 42% e colpirà circa 3,6 milioni di italiani, come desunto dai dati dell’Osservatorio Blockchain and Web 3 della School of Management del Politecnico di Milano. Per criptovalute si intendono tutte quelle valute digitali che utilizzano la crittografia per garantire transazioni sicure. Sono “decentralizzate”, ossia garantiscono transazioni libere e sottratte da qualsiasi regolamentazione o controllo da parte di banche o istituzioni finanziarie. Gli scambi di denaro avvengono attraverso una “blockchain”, che possiamo immaginare come un registro aperto e condiviso che raccoglie in modo sicuro tutte le transazioni effettuate. Queste caratteristiche hanno determinato un’enorme espansione di queste valute, tanto che oggi si parla di una vera e propria rivoluzione tecnologica ed economica. I vantaggi, infatti, sono molteplici e vanno dalla facilità di scambio alla mancanza di controllo da parte di un’autorità centrale, fino alla affidabile tracciabilità delle transazioni. Il sistema di scambio di denaro si regge su un meccanismo peer-to-peer che permette a due utenti Web di trasferire ingenti somme senza alcuna intermediazione. Nonostante i vantaggi, bisogna, però, chiedersi quanto tali valute siano sicure. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che gli utilizzatori sono continuamente esposti a cyber attacchi e rischiano grossi perdite. Infatti, le criptovalute sono note per la loro instabilità, il loro valore diminuisce o aumenta molto velocemente. Questo porta nei casi migliori a grossi guadagni, ma nei peggiori, anche ad enormi perdite.
Scambi facili, poco regolamentati o controllati, portano purtroppo ad infiltrazioni della criminalità. I reati più frequenti sono il riciclaggio, le frodi informatiche e la corruzione.
Proprio in virtù di ciò il legislatore si è attivato, da un lato, per regolamentare e tutelare le attività finanziarie legate alle criptovalute, e dall’altro per predisporre strumenti in grado di contrastare fenomeni criminali.
In ambito nazionale, fin dal 2017 ci si è mossi per adeguare il sistema normativo all’espansione delle valute digitali. Proprio per contrastare il cosiddetto cyberlaundering, “riciclaggio digitale”, il legislatore è intervenuto con il d.lgs. 90/2017 fornendo una definizione di valuta virtuale e includendo tra i destinatari della normativa antiriciclaggio anche i cosiddetti “exchanger”, ossia, prestatori di servizi “di conversione di valute virtuali in valute aventi corso forzoso”. L’UE è intervenuta successivamente con la direttiva 2018/843, recepita con il d.lgs. n. 125 del 4 ottobre 2019. In particolare, è stata ampliata la precedente definizione di valuta virtuale, includendo anche finalità di finanziamento, oltre che di scambio, che possono connotare alcune valute, nonché estendendo il concetto di “exchanger” anche a servizi di conversione in altre valute virtuali. La successiva direttiva UE 2018/1673, poi, introduce come circostanza aggravante del delitto di riciclaggio la commissione del reato nell’esercizio dell’attività professionale di “soggetto obbligato ai sensi dell’articolo 2 della direttiva (UE) 2015/849”, da intendersi, dopo le modifiche introdotte con la 2018/243, come comprendente anche i prestatori di servizi di valute virtuali.
Di emanazione più recente è il Regolamento europeo “Markets in Crypto-assets Regulation” (MICA), Regolamento (UE) 2023/114 del 31 maggio 2023, che entrerà in vigore a partire dal 30 dicembre 2024. Il regolamento mira da un lato a fornire a emittenti e fornitori di criptoattività certezza giuridica, dall’altro, a tutelare gli investitori da rischi, legati in particolar modo alla scarsa stabilità finanziaria.
In ambito cybersecurity, invece, ricordiamo il Regolamento UE “Digital Operational Resilience Act” – Regolamento 2022/2554/UE (DORA), che innalza gli standard di cybersecurity previsti per le operazioni finanziarie.
Indispensabile, però, per prevenire e reprimere eventuali fenomeni criminali è la collaborazione internazionale. Proprio per tali ragioni, l’Europol ha creato un’unità di analisi[1] con il fine di controllare l’utilizzo di queste valute in ambito criminale.
Rimane sempre centrale ed importante l’attività del GAFI, “Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale” (GAFI). Il gruppo nasce nel 1989 con lo scopo di combattere il riciclaggio di denaro e il finanziamento al terrorismo. Allora le transazioni avvenivano con metodi “tradizionali”. Oggi il gruppo si è dovuto adeguare all’utilizzo di metodi diversi, tra cui anche i pagamenti in criptovalute. L’attività del GAFI consiste nell’elaborare degli standard, riconosciuti a livello internazionale, per il contrasto delle attività finanziarie illecite. Inoltre, sulla base di tali standard, monitora e valuta le misure normative di contrasto dei singoli paesi. Così facendo, individua i paesi legislativamente carenti predisponendo una lista di “Paesi ad alto rischio” e una di “Altri Paesi monitorati”.
Guardando al futuro, sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione tra i vari organismi internazionali al fine di monitorare e valutare gli scambi di criptovalute tra i singoli paesi. Lo scambio di informazioni tra attori internazionali, infatti,giocherebbe un ruolo fondamentale nella conoscenza del fenomeno e nel contestuale sviluppo di misure regolatorie di contrasto alla criminalità.
[1] https://www.europol.europa.eu/publications-events/publications/cryptocurrencies-tracing-evolution-of-criminal-finances
https://www.sistemapenale.it/it/scheda/criptovalute-cyberlaundering-125-2019#:~:text=lgs.-,n.,all’impiego%20di%20valute%20virtuali.