Distribuito a ben ventiquattro anni di distanza dal suo iconico predecessore, Il Gladiatore II ha suscitato fin dal suo annuncio, fatto da Ridley Scott, un’ondata di reazioni contrastanti: curiosità, attesa, scetticismo e un diluvio di domande. Come può un sequel reggere il confronto con una pietra miliare del cinema considerata intoccabile? Massimo tornerà in vita in qualche modo inverosimile? Con Commodo ormai defunto, chi sarà l’antagonista? Questi interrogativi, legittimi e pressanti, avrebbero potuto soffocare il progetto sotto il peso dell’eredità del primo capitolo. Eppure, contro ogni previsione, il film è riuscito non solo a conquistare il botteghino, ma anche a ottenere consensi da parte di importanti testate internazionali come il The Guardian. Questo successo testimonia l’attrazione peculiare esercitata da Il Gladiatore II, un’opera che si discosta nettamente dal suo predecessore, evitando un confronto diretto che avrebbe rischiato di sminuirlo.
Uno degli errori più comuni dei critici è stato infatti paragonare i due film. Il sequel in realtà offre una trama originale che espande l’universo narrativo del primo, seguendo però un percorso completamente diverso. Massimo e Annone, il nuovo protagonista interpretato da Paul Mescal, sono personaggi profondamente distinti, mossi da valori e obiettivi divergenti. Se Russell Crowe incarnava l’uomo che Roma aveva tradito e condannato a morte, deciso a guadagnare la libertà a costo della vita, Mescal ritrae un personaggio intrappolato in un sistema ancora più corrotto, costretto a lottare per la sopravvivenza in un mondo dove la speranza appare irrimediabilmente perduta. Annone dovrà trovare la sua redenzione combattendo nell’arena, proprio come il suo predecessore, ma in un contesto e con motivazioni radicalmente diverse.
È nel cuore dell’Anfiteatro Flavio che Ridley Scott dimostra, ancora una volta, il suo straordinario talento. Alla veneranda età di 87 anni, il regista è riuscito a dare vita a un kolossal visivamente sbalorditivo, capace di catturare e ammaliare il pubblico. La meticolosa ricostruzione del Colosseo e dei suoi dettagli – dalle celle ai corridoi, dalle armature alle armi, dal sangue alla polvere – riporta gli spettatori nell’imperialismo di Roma, uno splendore al contempo grandioso e decadente, fondato su vittorie militari e sul crudele spettacolo del panem et circenses.
Durante la visione, sorge spontanea una domanda: qual è il significato ultimo del film?
Il Gladiatore II certamente non si limita ad essere un semplice omaggio al passato, bensì qualcosa di molto più grande, ponendosi come una riflessione rivolta ad ogni essere umano presente nel mondo e assumendo i caratteri di una vera e propria lettera aperta a una società in decadenza.
Roma e il suo Impero divengono perciò un espediente simbolico per riflettere criticamente sull’attuale scenario geopolitico. La follia e la guerra (onnipresenti nel film) devastano l’animo umano, sconvolgendo soprattutto l’intima psiche dei governanti: dietro la crudeltà e l’instabilità di Geta e Caracalla infatti, si celano le inquietudini e le insoddisfazioni di chi, pur ambendo con ostinazione a dirigere la società, fallisce nel suo intento. È attraverso l’occultamento dei problemi reali che si può rendere cieca la collettività, spingendola a ignorare le radici della propria sofferenza. Il male, alimentandosi di sé stesso, si espande, corrompendo irrimediabilmente il tessuto sociale. È in questo contesto di decadenza, che grava inesorabilmente sui più poveri e smaschera l’inettitudine della politica, che si staglia la figura di Macrino. Opportunista astuto, egli agisce con fredda determinazione, mirando unicamente a consolidare i propri interessi. Il suo fine ultimo è ovviamente quello di fondare un nuovo Impero del male e conseguire così il dominio assoluto.
Pochi possono opporsi a ciò e non sono certamente eroi. Annone ne è un perfetto esempio. Uomo semplice, dimenticato, poco carismatico, non possiede né la forza né l’astuzia di Massimo eppure, dietro il suo apparente essere infimo, si cela una notevole grandezza d’animo. Chiunque può essere Annone, il cui personaggio altro non è che l’uomo comune. In un clima opprimente in cui la violenza è il linguaggio universale (e non la cultura), bisogna ergersi con coraggio e coronare quello che un tempo era un sogno e quel sogno era proprio Roma. L’Urbe del film, con la sua grandiosità e i suoi sfarzi, caratterizzata da fastosi e sanguinosi spettacoli, rappresenta una società opulenta poco attenta ai bisognosi, i quali prontamente si trovano a mendicare al suo ingresso; sotto la porta di Roma infatti, su cui svetta la lupa capitolina con Romolo e Remo, si accampano i diseredati che provano a fermare tutti i viandanti chiedendo l’elemosina. La società non può chiudere gli occhi davanti a coloro che soffrono e dovrebbe anzi porre realmente fine ad ogni conflitto interno ed esterno (come nella pellicola in cui una catastrofica guerra civile viene scongiurata) pur di raggiungere il vero benessere.
Questo è ciò che Il Gladiatore II vuole dire. In più di vent’anni, nonostante la presenza di eroi colti come Marco Aurelio e Massimo Decimo Meridio, la corruzione e la malvagità hanno messo a tacere personaggi del loro calibro, ma è dalle ceneri del coraggio, che rinasce la forza di andare avanti e soprattutto di opporsi. Annone diviene il messaggio di speranza che vive dentro ogni essere umano e che in una società in decadenza è l’unico che può vincere ma soltanto se tutti saranno solidali. Chi dentro questa grande arena che è la vita non darà aiuto, finirà per essere sopraffatto, esattamente come i gladiatori superbi che in entrambi i film finiscono per essere uccisi da altri gladiatori o dagli animali inferociti.
Non un semplice sequel ma un’opera straordinariamente moderna, attuale e riflessiva, questo è il film di Scott, una pellicola ricca di insegnamenti e moniti che ognuno di noi dovrebbe interiorizzare.
Col coraggio e con la forza della cultura (non a caso Tacito e Virgilio vengono accuratamente citati da Annone nel film), la follia e l’ignoranza che affliggono la società possono essere combattuti, così che l’orribile condizione del Vae victis (guai ai vinti) possa essere una volta per tutte rovesciata.