Nella bulimia di pubblicazioni e paper che caratterizza oggi il sapere scientifico è diventato difficile tenere traccia dello stato dell’arte, cioè delle principali scoperte e delle dinamiche evolutive di ciascuna disciplina. Non è un caso, infatti, che la grande manualistica è oggigiorno un retaggio d’altri tempi, quando i principali scienziati erano pochi e una revisione della letteratura fattibile senza l’ausilio digitale.
Tuttavia, il compito di comprendere dove si dirige la scienza non ha affatto perso la sua importanza. La Science of Science si occupa di tale questione col fine generale di comprendere il dietro le quinte della ricerca. Adottando un approccio interdisciplinare ed i più avanzati metodi computazionali, essa indaga vari ambiti, come le linee di carriera degli accademici, ma, soprattutto, quali siano le più recenti frontiere dell’innovazione scientifica. Una simile missione non è neutra, ma sottende visioni diverse su chi siano i protagonisti della scienza: i paper ed i loro autori, o la conoscenza pura?
Umano, troppo umano
Secondo il knowledge citation network sono i primi due a contare. Elaborato già alla fine degli anni ’60 da de Solla Price (1965), questo metodo ritiene che sia possibile monitorare in tempo reale le scoperte e l’evoluzione di un dato campo di indagine attraverso l’analisi delle reciproche citazioni tra i paper pubblicati. Esisterebbero cioè vere e proprie relazioni tra questi ultimi determinate da citazioni dirette o indirette. Le prime consistono in un paper che ne cita un altro, le seconde hanno luogo quando due paper sono entrambi citati da o citano un terzo. Dunque, così relazionando le diverse pubblicazioni si andrebbe a disegnare un network che, sulla linea temporale, riuscirebbe ad arrivare sino all’oggi. Basterebbe poi una analisi dei temi trattati nei paper più citati, cioè gli snodi nevralgici della ragnatela costruita, per comprendere quali siano le ultime prospettive della ricerca.
Ciononostante, l’idea che le direzioni intraprese dai paper e dagli autori più citati siano rappresentative dello stato della conoscenza può essere facilmente messa in discussione. Anzitutto, un simile approccio farebbe coincidere la scienza, specialmente in alcuni ambiti più corporativi, col dominio e le decisioni di poche consorterie di ricercatori, quelli che ai tempi si chiamavano baronati. La citazione, infatti, non è sempre una questione scientifica, ma svolge nell’accademia un ruolo sociale, crea e disfa scuole di pensiero, facilita o impedisce domande comuni di finanziamento e fa la differenza tra contare qualcosa oppure no. Proprio per impedire che queste dinamiche rientrino e inquinino l’analisi dell’evoluzione della conoscenza, Yi e Choi (2012) hanno proposto di creare piuttosto network tra le parole chiave delle pubblicazioni esistenti. L’assunto è che le keywords coincidano anche in scuole diverse e siano facilmente rintracciabili negli abstract all’inizio del testo.
Una Visione Kuhniana della Scienza
Friedrichs et al. (2020) hanno argomentato come non solo quest’ultimo approccio, chiamato knowledge co-occurrence method, permetta di ottenere network di conoscenza senza l’impiccio degli autori e delle riviste, ma consenta anche di ottenere informazioni circa la presenza delle condizioni favorevoli all’innovazione scientifica. Quanto viene argomentato è cioè che avendo negli snodi parole, dunque concetti e teorie, sia più facile comprendere se si sia in presenza di un paradigma dominante, oppure, data la presenza di keywords inusuali, di teorie in controtendenza con quanto fino ad allora egemone.
La visione promossa da Friedrichs et al. è cioè più kuhniana che popperiana. La conoscenza nel knowledge co-occurrence network procede per paradigmi che vengono rimpiazzati, di cui sono indicatori le parole chiave, mentre nel mondo umano del knowledge citation network il sapere evolve gradualmente attraverso micro-interazioni tra centri di sapere. Queste ultime rappresentano la condizione sine qua non della falsificazione delle ipotesi, la quale non ha invece ragione di esistere nel mondo dei concetti proposto da Yi e Choi e da Friedrichs et al. con un chiaro ascendente post-platonico.
Ebbene, se questa divisione può reggere sul piano teorico, per entrambi i modelli i risultati empirici non depongono a favore dell’idea simil-kuhniana di ground-breaking innovation. Se provare quest’ultima non è nell’agenda del modello basato sulle citazioni, Friedrichs et al., analizzando il caso specifico delle scienze biomediche, si sono resi conto come nel network le principali parole chiave si relazionano principalmente con sé stesse, non lasciando molte speranze per un cambio subitaneo di direzione. Basandosi su questa analisi, Yang et al. (2024) hanno condotto una simile ricerca, restringendo l’importanza del cambio di paradigma e aprendo ad una visione più gradualistica in cui i concetti espressi dalle parole chiave non solo cambiano, ma si scindono e fondono in nuovi.
Ad ogni modo, il quesito va posto: la mancata registrazione di nuovi paradigmi è un problema del modello, i cui assunti vanno contro la commercializzazione del sapere, o di quest’ultima che è capace di impedire, in virtù delle logiche consociative di cui sopra, l’emergere di voci fuori dal coro? Lo strumento del knowledge co-occurrence network è cioè insensibile o piuttosto sviluppa una sensibilità per un oggetto, l’innovazione, che non c’è? Una risposta è difficile da trovare, ma la seconda opzione è quella che sembra più vera a chiunque conosca l’accademia d’oggi giorno, e che vi riconosca all’interno il dominio indiscusso degli instant paper e dell’h-index. Lo scenario che emerge è triste, ma il cuore degli amanti del sapere non può smettere di battere per una scienza pioniera e non auto-riproduttiva, basata su concetti e non su persone. Non è un mero esercizio di purismo, ma un sano idealismo da ergere a baluardo per una scienza migliore.