Alla richiesta di indicare per il futuro una possibile utopia, un ‘non-luogo’, il professor Luigi Ferrajoli, anziché esibire il suo saggio Per una costituzione della Terra, spiegherebbe che “l’ipotesi più inverosimile è che la realtà possa rimanere così com’è, l’illusione cioè che potremo continuare a fondare le nostre democrazie e il nostro tenore di vita sulla fame e la miseria del resto del mondo, sulla forza delle armi e sullo sviluppo ecologicamente insostenibile delle nostre economie” . Di qui la sua audace ma ponderata proposta, che unisce un estremo rigore giuridico a un afflato appassionatamente umanistico.
Crimini di sistema
Punto di riferimento costante con cui si misura il lavoro di Ferrajoli sono le più gravi emergenze globali tra cui, come già citato sopra, la fame, le guerre, le crisi ambientali. Purtroppo, la lista continua con le migrazioni, lo sfruttamento del lavoro, le malattie che mietono innumerevoli vittime malgrado siano curabili, le lesioni di libertà fondamentali in regimi dispotici. La novità assoluta delle minacce ambientali poi, come pure la disponibilità di testate nucleari, mette in scacco il cinismo di quanti sottendono nel loro pensiero e nella loro azione che la civiltà possa andare avanti a piacimento nella noncuranza di cotante sofferenze evitabili.
Ad ogni modo, le successive considerazioni di Ferrajoli su questo tema sono più sottili. La sua argomentazione prende le mosse dall’evidenza che il diritto penale esercita un’indubbia capacità di stigmatizzazione morale del crimine rispetto a cui lo stesso dibattito pubblico risulta subalterno: sarebbe a dire che tutto ciò che non è penalmente inteso come reato viene percepito come permesso o comunque non ingiusto. In effetti, puntualizza l’autore, è evidente che il diritto penale deve aver finito per operare come potente fattore di occultamento di tutte quelle palesi aggressioni agli individui o alle popolazioni che difettano dei suoi requisiti giustamente garantisti. Questo apre la strada alla banalizzazione del male, per cui le suddette catastrofi vengono tollerate con rassegnazione o, peggio, con indifferenza.
Deve tuttavia essere possibile porre rimedio e la soluzione, secondo Ferrajoli, sta nel “colmare una lacuna del nostro lessico teorico-giuridico” e configurare anche le gravissime violazioni menzionate come “illeciti giuridici, sia pure non addebitabili alla responsabilità delle singole persone” . Fatti, cioè, intollerabili. Crimini di sistema.
Il coronamento giuridico di tale acquisizione teorica sarebbe l’istituzione di giurisdizioni internazionali competenti alla pronuncia di giudizi di verità. Ma certamente il quadro che si sposerebbe a tale progresso sarebbe quello di una Costituzione globale.
L’inveramento del costituzionalismo
Il primo ostacolo che si incontra nel tentativo di estendere il paradigma della Costituzione è, in senso lato, lo Stato nazionale. Nella sua stessa formulazione il costituzionalismo può declinarsi in una forma identitaria, messa a punto da Carl Schmitt nella prima metà del Novecento e da cui l’autore qui prende le distanze, e un’accezione garantista, come “patto di limiti e vincoli rigidamente imposti a tutti i poteri” a garanzia della “convivenza pacifica tra differenti e disuguali”. Un patto di “non aggressione” e di “mutuo soccorso” .
Nella tradizione europea della filosofia politica, da Hobbes a Hegel, la realizzazione dello Stato nazionale ha sempre coinciso con il superamento dello stato di natura. Ma è evidente, come d’altronde era già evidente per Hobbes 4 secoli fa, che il patto di convivenza è solo un nuovo stato di natura: suggella la libertà incondizionata di oppressione non più solo di individui, ma di nazioni.
Non sorprende perciò che lo Stato nazionale sia in contraddizione con quel pur embrionale – se non abortito – organismo sovrastatale che è l’Onu: l’universalità dei diritti cozza con la cittadinanza – “un diritto ad avere diritti” – e la sovranità fa a pugni con la pace.
Tuttavia – si badi bene – Ferrajoli non auspica un improbabile Super-Stato: la rappresentatività politica deve rimanere fonte di legittimazione democratica sul territorio: semplicemente, egli distingue tra la “sfera del decidibile” e la “sfera del non decidibile”, cioè rispettivamente tra “funzioni e istituzioni di governo” e “funzioni e istituzioni di garanzia” . Queste ultime sarebbero legittimamente fondate non sull’essere volute da tutti, ma su qualcosa, se possibile, di ancora più importante: sul garantire tutti. Sarebbero perciò democratiche in senso diverso.
Date queste premesse risulta facile cogliere il punto del professor Ferrajoli: l’allargamento del costituzionalismo rigido, giuridicamente imposto dalle carte dei diritti già esistenti, nonché logicamente implicato dal carattere garantista del costituzionalismo stesso, è in realtà il suo inveramento, la sua coerente attuazione.
Per un costituzionalismo dei mercati
Si è sopra discusso della necessità di una sfera pubblica all’altezza dei processi della contemporaneità, ma non si è ancora parlato di quegli altri ‘sovrani’ che sono i mercati.
Per la circostanza storica in cui le moderne costituzioni sono nate, in un contesto in cui i poteri pubblici erano soprattutto punitivi, “il paradigma costituzionale è stato declinato dalla nostra tradizione liberale quale sistema di limiti ai soli poteri politici e non anche ai poteri economici, è stato concepito a garanzia dei soli diritti fondamentali e non anche dei beni comuni e parimenti vitali” .
L’asimmetria tra il carattere locale dei poteri politici e il carattere globale dei poteri economici risulta inevitabilmente in una subordinazione liberista dei primi ai secondi.
È forse proprio la globalizzazione dei mercati e delle comunicazioni che più ci accomuna come popolo globale, come pure l’urgenza di soluzioni alle molteplici crisi ambientali che spesso è stato proprio l’incontrollato sviluppo economico a causare. A tal proposito, l’articolo 49 del progetto di Costituzione della Terra recita che i beni comuni “fanno parte del demanio planetario. Sono perciò sottratti all’appropriazione privata, alla mercificazione e a qualunque attività che possa danneggiarli in maniera irreversibile” .
Tra rassegnazione e riscossa
Il vero problema, soggiunge Ferrajoli, è la “miope indisponibilità dei poteri più forti – le superpotenze militari, le grandi imprese multinazionali e i mercati finanziari – a sottostare al diritto e ai diritti” . Questo però conduce, sempre secondo l’autore, a una subdola “legittimazione reciproca tra teoria e realtà” che occulta la responsabilità della politica. In altre parole, la percezione che non ci siano alternative al primato, per esempio, delle leggi di mercato, finisce per diventare un avallo allo stato delle cose, cioè autorizza un pessimismo disfattista e paralizzante.
Il progetto del professor Ferrajoli, però, è concretamente in grado di coagulare gli sforzi di innumerevoli persone e associazioni impegnate in tutto il mondo in battaglie per questo o quel tema fondamentale. Che sia la difesa dell’ambiente, il disarmo nucleare, la salute delle persone, la povertà, la fame nel mondo o la situazione dei migranti: la Costituzione della Terra può essere la chiave di volta per unificare le lotte per un mondo migliore.
Conclusione: per una civitas maxima
Questo ideale, di cui si sono nutriti Kant, che nell’opera Per la pace perpetua già prefigura una civitas maxima, e anche Altiero Spinelli, che vedeva la tanto agognata Federazione europea come preludio di una Federazione mondiale, dovrebbe oggi nutrire, a mio parere, tutti gli studenti, magari attraverso un’attenta lettura del saggio alle superiori, cosicché possano rendersi conto che una via per un mondo diverso non solo esiste, ma grida perché in tanti la percorrano verso un vero e proprio salto di civiltà.