Quando il tuo sguardo è aperto, orizzontale, e ti rendi conto che la verità è una luce che, attraversando un prisma, dà vita ai colori, è facile rinchiudersi nella propria solitudine e semplicemente rispondere a chi è ancora schiavo della paura dicendo: “Come fai a non capire? Come è possibile che non te ne rendi conto?”
È facile aggredire con rabbia chi è incapace di vedere le catene che lo legano al suolo. Ma non è questo il modo di comunicare. Sono tutti bravi a rivendicare la propria posizione quando la si è raggiunta o quantomeno intravista. È difficile invece porsi in ascolto, ricordare e poi infine combattere.
Porsi in ascolto del silenzioso dolore di chi è prigioniero di sé stesso e delle catene degli altri. Ricordare che prima di uscire dalla caverna, quel dolore si condivideva negli sguardi, ma non si sapeva comunicare. Combattere per sopportare il bagliore del sole, che brucia la pelle e acceca gli occhi, perché il risveglio è figlio della notte più buia.
Ma se il dolore fosse dato solo dalla solitudine? In fin dei conti l’uomo è un essere sociale e una voce fuori dal coro non è altro che un grido d’aiuto, un disperato tentativo di fuggire da un mondo di fantasmi. D’altronde, che gioie potrebbe dargli? Perché innamorarsi di una persona che vive in un coma emozionale? Perché combattere per chi non sente la nostra voce o la rifiuta per paura? Perché piangere se non ci sarà nessuno lì a consolarti? Perché ridere se poi l’amaro in bocca non si riesce a sputare?
Ci sono modi più efficaci per comunicare la verità più scomoda? Se quell’uomo, in quella caverna, si fosse fermato a guardare gli altri suoi compagni prima di uscire dalla prigione e avesse parlato con loro con amore, con compassione, con gioia, e perché no, anche con dolore, avrebbero visto la luce del sole? E che risposta si aspettava l’uomo, che ha abbandonato i suoi compagni, lasciandoli nelle tenebre, quando è tornato da loro nel momento in cui era troppo tardi per riconquistare la loro fiducia? Cosa si aspettava se non la vendetta, la violenza e l’odio? L’errore più grande è dimenticare che prima quelle catene si condividevano.